Parlare della parrocchia di Pescarenico aiuta a sfuggire la tentazione di cominciare con la solita «terricciola sulla riva sinistra dell’Adda». Si comincia infatti dal convento di cui, già ai tempi del Manzoni, sussisteva soltanto la «fabbrica». Ne vediamo ancora oggi i tetti in quadrato, sopra i quali si alza, discreto, il campaniletto triangolare che i frati dovettero accettare dopo un’opposizione piuttosto vivace.
Infatti il curioso campaniletto triangolare è entrato per sbaglio nella iconografia dei luoghi manzoniani. Per la verità storica, bisogna infatti dire che esso non appartenne mai al convento. Anzi i frati, come documenta la Cronichetta di fra Bernardo Tartari d’Acquate, dopo una lunga controversia ricorsero al Senato per ottenere che fosse demolito il campanile a triangolo costruito senza il loro consenso dalla comunità di Pescarenico nell’agosto del 1741. Il campanile a triangolo non solo è rimasto in piedi ma ha dato anche il nome al bollettino parrocchiale, sulle cui pagine si trovano tantissimi scritti di don Giovanni Brandolese.
Si era presentato alla gente di Pescarenico, nel mese di settembre di quello stesso 1965, con queste parole:
“Col presente numero del rinnovato bollettino parrocchiale desidero anche fare il mio primo e discreto ingresso in tutte le vostre case, per porgere a tutti il più cordiale saluto e l’augurio più sincero di ogni bene.Per volontà dell’Arcivescovo sono in mezzo a voi in qualità di Vicario Adiutore, un titolo che non ha niente di onorifico, bensì è indicativo di gravi oneri e pesanti responsabilità. Voglio, tuttavia, confidarvi che non immaginavo, lasciando la Parrocchia di Canegrate da me servita con amore per 22 anni, di dovermi trovare tra i nuovi parrocchiani, dopo soli pochi mesi, come in una comunità da tempo frequentata, conosciuta ed amata. Cercherò di servire la Parrocchia di Pescarenico con la stessa dedizione e, ovviamente, con moltiplicato senso di responsabilità.Confido tanto nell’aiuto di Dio, nella vostra partecipazione alle mie preoccupazioni, nella vostra grande indulgenza per i miei limiti e insufficienze e, soprattutto, nella anticipata fiducia di tutti per il mio sincero proposito di dedicarmi generosamente al progresso spirituale, culturale e sociale della Parrocchia.”
L’apertura del successivo bollettino parrocchiale assume la valenza di manifesto programmatico. Per la prima volta c’è un titolo – in questo caso La nostra parrocchia – e un testo molto articolato. Si comincia con il riferimento al Concilio Vaticano II che ha delineato chiaramente tre aspetti della comunità parrocchiale, che don Giovanni riassume così:
“Una comunità di fede dove si realizza tutto il lavoro di catechesi per categoria, nonché la proclamazione e lo studio della parola del Signore.Una comunità di culto che, dopo la proclamazione e lo studio della parola del signore, si fa preghiera illuminata e cosciente del singolo e dell’assemblea, in unione col Sommo Sacerdote Cristo.Una comunità di amore che realizza ogni opera di carità, di assistenza e di apostolato come irradiamento della parola e come frutto della preghiera liturgica e della Grazia che ne promana.Ma, affinché una parrocchia possa identificarsi nel volto e realizzare la «personalità» e gli aspetti descritti e voluti dal Concilio, è, ovviamente, necessario che i componenti della comunità siano anzitutto in possesso di alcune elementari nozioni:
- Cos’è la Parrocchia?
- Qual è la mia Parrocchia?
annunciando che: “Impareremo a conoscerla meglio anche attraverso il Bollettino, per viverne la vita secondo i disegni della Chiesa che l’ha definita, e deve essere, «la comunità dei figli di Dio».Se questo può essere considerato una sorta di manifesto programmatico, in quel testo di don Giovanni c’è anche un altro importante riferimento.”
Se questo può essere considerato una sorta di manifesto programmatico, in quel testo di don Giovanni c’è anche un altro importante riferimento. È quello ad un suo predecessore, don Abele Meles e al suo diario dal titolo «La mia parrocchia» che don Giovanni definisce «bellissimo» e meritevole «di essere pubblicato per intero».
Quel numero di novembre 1965 del bollettino parrocchiale è comunque emblematico anche per la ricchezza di notizie relative alle attività parrocchiali: la giornata missionaria, il terz’ordine francescano, le confraternite del Santissimo Sacramento, l’Azione Cattolica, l’oratorio maschile, l’oratorio femminile, il patronato Acli, l’asilo «Antonio Corti», le attività culturali in parrocchia. Una doppia pagina, firmata Plinio Agostoni «a nome della Presidenza di G.S.», è dedicata alla presentazione del movimento di Gioventù Studentesca.
Il nuovo anno, 1966, annuncia già due avvenimenti importanti, che don Giovanni definisce «straordinari»: l’ordinazione sacerdotale di don Fabio Baroncini (verrà ordinato sacerdote in Duomo a Milano il 28 giugno e celebrerà la prima messa a Pescarenico il giorno seguente, 29 giugno) e il pellegrinaggio parrocchiale a Lourdes.
Altrettanto straordinario è l’annuncio che nei venerdì di Quaresima la Via Crucis sarà effettuata per le vie della parrocchia.
“Per riuscire veramente meritorie per i partecipanti ed edificanti per gli assenti, le Via Crucis dovranno essere: uno spettacolo di fede un esercizio di penitenza e di espiazione una predica di buon esempio e di profonda pietà cristiana. Non solo la Via Crucis. È soprattutto la Pasqua ad offrire a don Giovanni l’occasione per la prima meditazione offerta dalla liturgia vissuta. E come tale meritevole di essere ripresa per intero.”
Il mese successivo, maggio, diventerà invece l’occasione per la prima delle grandi lezioni mariane. E un significativo riferimento mariano è anche nel testo che apriva il bollettino di luglio, diventando anche un augurio per il tempo delle vacanze estive:
“È il vespero della festività di Maria in visita ad Elisabetta mentre stendo il pensiero mensile per i buoni parrocchiani.Maria sale i monti di Giudea e si ferma tre mesi in casa della cugina portandovi il suo amore comunicativo di carità e di grazia in virtù delc Verbo in Lei incarnato.Maria è segno abbagliante della presenza di Cristo tanto da sbalordire l’incredula Elisabetta e farne sussultare di gioia la creatura che porta in seno.Mistero della vita di Maria, fecondo di preziose applicazioni, che mirabilmente qualifica il titolo di Tipo e Madre della Chiesa solennemente attribuitaLe dal Concilio e che, insieme, illumina vivacemente l’essere e l’agire del cristiano, che è la Chiesa, e che al tipo si deve richiamare e conformare. Anche in tempo di vacanza; superando la facile tentazione di mettere in vacanza anche ogni segno di cristianesimo, ma valorizzando, invece, questo tempo prezioso sfruttandone le capacità di sviluppo dello spirito, di apertura del senso sociale, di ascesi personale, di arricchimento della esperienza e di elevazione dell’anima.Auguro ad ogni cristiano della comunità di Pescarenico di recarsi con tali prospettive ai monti o al mare per tornare in seno alla Parrocchia col corpo riposato da un riposo benefico, lo spirito ricco di numerose scoperte, e il cuore donato, nell’incontro con altre comunità, al dialogo con le persone e ad una più vasta apertura verso i problemi della società.”
In quest’ultimo scorcio del 1966 la popolazione di Pescarenico correva in soccorso di quella di Latisanotta, la frazione del comune friulano di Latisana devastata dall’acqua che ha rotto gli argini del Tagliamento. È il primo dei «gemellaggi di carità» che segneranno altri momenti della storia di Pescarenico.
Nel 1967 continua la riflessione sulla parrocchia che ripete i concetti base messi in evidenza dal Concilio Vaticano II: la Chiesa, l’apostolato dei laici, la Chiesa nel mondo contemporaneo. Con il Concilio la Chiesa ha preso più coscienza di sé, rinvigorendo il suo naturale slancio di missionari età, di portatrice di Cristo, e, sottolinea don Giovanni:
“Partecipare a quest’ansia e sentire la stessa vocazione, perché noi siamo la Chiesa, dev’essere il proposito che impegnerà ciascuno di noi alla manifestazione di quello che realmente siamo per chiamata e per Grazia. “Voi siete la luce del mondo!”, così ci ha definiti e voluti Gesù, che ha scelto come strumento della Sua perenne “Epifania” la nostra chiara testimonianza alla verità all’Amore.Questo misterioso piano divino che chiama la Chiesa, e quindi noi, alla responsabilità della salvezza del mondo nasconde un atto di fiducia di Dio nelle nostre capacità, esaltate dalla Sua presenza in mezzo a noi.”
Don Giovanni usa poi due immagini immediatamente comprensibili: tradisce questa fiducia di Dio e ostacola lo sviluppo del suo disegno salvifico chi porta il cristianesimo come una veste di lutto e chi lo trascina come il condannato trascina la sua catena. «Il messaggio di Gesù – sottolinea – non è un annuncio funebre che spegne la gioia e il sorriso: è la lieta notizia». E aggiunge:
“Troppo pochi sono ancora coloro che in ogni istante della giornata ricordano e vivono la loro grande realtà: “Voi siete la luce del mondo!”. Ma sarà questo il nostro impegno per l’anno nuovo e la risposta alla nostra vocazione cristiana che ci vuole protagonisti nella fermentazione evangelica del mondo col quale viviamo in quotidiano contatto.”
Il tema viene ripreso, in significativa continuità, sulla prima pagina del bollettino di febbraio (1967) dove don Giovanni continua l’impegno di condensare il pensiero dei più importanti documenti pontifici e conciliari. Tre questi ce n’è uno che, scrive, «deve essere da tutti conosciuto e meditato». Si tratta del decreto sull’apostolato dei laici, il documento che, scrive sempre don Giovanni, rende comprensibile e attuabile la proposta evangelica “Voi siete la luce del mondo”. Il Concilio, aggiunge, insiste anche su un’altra vocazione dei laici, quella dell’apostolato, e vi dedica nientemeno che uno dei suoi decreti.
Per la parrocchia il 1967 vede due anniversari importanti: il settantesimo di vita della parrocchia stessa, eretta nel 1897, e il quarantesimo di permanenza delle Suore di Maria Bambina, arrivate a Pescarenico nel 1927. Il tema «Voi siete la luce del mondo» viene ripreso sul bollettino di aprile (1967). Vengono nuovamente citati il decreto conciliare sull’apostolato dei laici e la costituzione conciliare «Lumen Gentium» per quanto riguarda la specifica partecipazione dei laici. Don Giovanni questa volta si rifà, in particolare, all’azione dello Spirito Santo in tutti i membri del popolo di Dio, che suscita ognuno alla testimonianza e al sacrificio.
Nel mese di maggio vengono annunciati i lavori che cambieranno il volto della piazza della chiesa con l’innalzamento di una parte della piazza stessa rispetto al piano stradale, impedendo così il parcheggio dei veicoli fin sulle porte della chiesa.
Sempre sul bollettino parrocchiale di maggio ampio spazio è dedicato all’appena avviato laboratorio missionario, con un buon gruppo di volontarie che, coadiuvate anche da una suora, si radunano settimanalmente all’oratorio femminile.“
In settembre è la volta dei festeggiamenti per i settant’anni della parrocchia e don Giovanni scrive:
“Una scadenza che sento impegnativa e importante e, come tale, vorrei sentissero seriamente tutti i parrocchiani: perché è un particolare richiamo alla nostra appartenenza ad una comunità che, per la Grazia di Cristo, diventa comunione di fratelli insieme pellegrinanti nel sentiero della Fede, dell’Amore e della Speranza.Nella Parrocchia si realizza, infatti, il nostro inserimento nel Corpo di Cristo, la Chiesa, mistero di Salvezza. […] Nel grato ricordo di sacerdoti e laici che ci hanno preceduti nella testimonianza cristiana, avvertiremo il dovere di continuare ad esaltare una tradizione di fede, come membri vitali di un Corpo nel quale tutti devono operare, nel vincolo della carità, per rendere visibile, efficace e sempre più splendente la presenza salvifica di Cristo.”
Ma il settantesimo della parrocchia vede anche una significativa realizzazione: la pubblicazione del diario di don Abele Meles, primo parroco di Pescarenico
Il 1967 si concludeva con la nomina di don Giovanni a canonica della prepositurale, concessagli dal cardinale Giovanni Colombo nella ricorrenza della festa patronale cittadina di San Nicolò.
Il 1968 si apriva con una significativa novità, il nuovo bollettino parrocchiale, presentato con il titolo «è necessario acquisire un nuovo senso ecclesiale». Don Giovanni, che da questo momento comincerà a firmarne l’apertura con il proprio nome e non, come aveva fatto fino ad allora con la parola “il vicario”, collocava la ricerca delle vie nuove per il bollettino «nell’attuale momento storico in cui la Chiesa vive un positivo travaglio di rinnovamento». Un rinnovamento che cominciava dal titolo:
Non più all’ombra del Campaniletto: una affermazione che significava: “Noi, fedeli, all’ombra della Chiesa”. I destinatari non sfuggivano alla tentazione di così esprimersi, aprendolo: “Vediamo un po’ cosa ne pensa la Chiesa”. In altre parole, un titolo che confermava una antica convinzione sull’esistenza di una netta distinzione tra Gerarchia e fedeli, traducibile nella formula: “Noi e la Chiesa”. Il Concilio ha abbattuto decisamente la congiunzione che assurdamente divideva il Corpo di Cristo in due tronconi, ridonando alla Chiesa unità e uguaglianza: “Noi, Chiesa”. Togliendo l’OMBRA abbiamo messo in luce il CAMPANILETTO, cioè la chiesa, noi, popolo di Dio della Chiesa di Pescarenico.
In marzo don Giovanni riprendeva il suo insegnamento legato ai “tempi forti” dell’anno liturgico, in questo caso la Quaresima, indicata come «tempo di beatitudini».
“La Quaresima ci offre la possibilità di una serie verifica del nostro modo di essere cristiani. Ci invita a guardarci in uno specchio di cui ci possiamo fidare: Cristo sofferente. L’ha usato anche Pietro quando s’è visto passare davanti il Maestro, il corpo segnato dai lividi, il volto coperto di sputi. «E il Signore si volse e fissò Pietro». Quegli occhi scavarono nel profondo della sua miseria. «E uscito fuori pianse amaramente». Di lì iniziò la sua vera conversione.Da un incontro così vitale con Cristo può veramente incominciare anche la nostra.”
Insegnamento che continuava, in apertura del mensile parrocchiale di aprile, riferito alla Pasqua.
La comunità parrocchiale di Pescarenico ospita, anche in questo 1968, un sacerdote di nazionalità indiana, don Paolo Maruthanakuzhiyil, che viene ordinato sacerdote il 30 giugno e celebra a Pescarenico una delle sue prime messe il 7 luglio.
Su il Campaniletto del mese di luglio, don Giovanni definiva il discorso pronunciato il 30 giugno da Papa Paolo VI a chiusura dell’anno della fede «uno dei più importanti documenti del suo pontificato», definito dallo stesso Papa «il Credo del Popolo di Dio». Sempre don Giovanni aggiungeva che «veramente se ne sentiva la necessità e da molti era atteso e desiderato», sottolineando che «l’autorevole intervento del Papa dimostra in modo evidente che il particolare momento storico della Chiesa lo richiedeva». «La professione di fede fatta dal Papa – concludeva, anche annunciandone la successiva pubblicazione sul bollettino per offrire a tutti la possibilità di farne oggetto di attenta considerazione – corrisponde, quindi, ad una attesa presente in tutta la Chiesa» dove
“In casi che sono abbastanza frequenti, sotto gli ambigui nomi di «Chiesa post-conciliare» o «Nuova Chiesa», è tutta un’altra chiesa che quella di Cristo che rischia di essere fondata, se è possibile parlare di fondazione per indicare un fenomeno che è soprattutto di abbandono e di disintegrazione. Aggiornamento, apertura al mondo, ringiovanimento, ecumenismo, spirito di dialogo, tutte queste cose, eccellenti quando sono intese nel senso reale e quando nascono come fiori e frutti di una fede viva, sono, purtroppo, diventate un pretesto per nascondere un più o meno generalizzato abbandono… “
E all’inizio dell’anno successivo, in questo caso il 1969, rispettando la tradizionale consuetudine di ogni pastore d’anime di annunciare una sorta di slogan pastorale e formulare propositi e progetti relativi alle opere parrocchiali, don Giovanni sottolineava come impegno di fondo e preoccupazione più pressante il far sì che la parrocchia fosse veramente una comunità viva.
“Consapevoli che una comunità cristiana nasce dall’unione con Cristo, e che tale unione trova il suo momento di pienezza e di più alta espressione nel mistero eucaristico, faremo, anche quest’anno, della Liturgia Eucaristica il centro vitale di interesse e di studio.Difficile è prevedere quando tutti noi che partecipiamo alla Messa, almeno domenicale, sapremo realizzare vitalmente la nostra unione con Cristo e con i fratelli così du prolungarla durante tutta la settimana.Ma questa è l’essenza della vita cristiana e sarebbe assurdo, oggi, in un mondo assetato di verità e autenticità, proseguire nella comoda ma falsa convinzione di essere cristiano per il semplice fatto di presenziare al rito della domenica.”
Pescarenico si preparava all’ingresso ufficiale di don Giovanni Brandolese, come nuovo parroco, fissato per il 25 maggio, domenica di Pentecoste. Un ingresso in barca, partendo dalla sponda opposta dell’Adda, verso Pescate, raggiungendo piazza Era. «Non dimenticherò mai lo spettacolo che mi è stato dato di ammirare dall’altra sponda dell’Adda», scrive don Giovanni su il Campaniletto di giugno 1969.
Queste considerazioni formavano poi l’oggetto della relazione morale che don Giovanni aveva tenuto durante le Messe del 12 gennaio 1969 e venivano quindi ulteriormente approfondite sul mensile parrocchiale di febbraio. Con un obbiettivo: aiutare tutti a capire e a vivere la vita parrocchiale come esperienza comunitaria, come comunione di famiglie, di gruppi, di persone che cercano insieme di conoscersi, di aiutarsi e di amarsi. Comunione che, nella scelta cristiana, nasce dall’unione con Cristo. E l’unione con Cristo trova il suo momento di pienezza e di più alta espressione nel mistero eucaristico.
“[…] tutta quella gente si sta bagnando per causa mia! Quel vostro sostare, sotto la pioggia, in attesa del mio arrivo, è stato per me il più eloquente, significativo e confortante benvenuto.Non dimenticherò piazza Lera, via Maggiore e vie laterali suggestivamente ornate di reti, di remi e di nasse: attrezzi di lavoro divenuti arte e poesia. Un grazie particolare ai buoni pescatori per quanto hanno fatto. […] A tutti chiedo scusa per non aver saputo dire un bel discorso d’entrata. Vedrò di tradurre in pratica, con un costante riconoscente ricordo nella preghiera e con la più generosa corrispondenza alle vostre attese, le tante cose che avrei voluto ma non ho saputo esprimere”
In settembre, alla ripresa post feriale, don Giovanni affrontava l’argomento famiglia, definita nel titolo della sua lettera insolitamente lunga (tre intere pagine del mensile parrocchiale) «prima e più completa scuola di educazione cristiana». Un tema che era stata abbondantemente discusso nel corso dell’anno, come testimoniavano i «Dialoghi» del mensile parrocchiale, cioè gli inserti nei quali venivano raccolti i dibattiti e i confronti che si erano tenuti in parrocchia. Don Giovanni dichiarava, a proposito di questa sua lettera alla famiglia parrocchiale, che
“essa intende portare sul piano pratico le molte idee, le indicazioni e le proposte avanzate nei precedenti incontri di studio dei quali vuole e deve essere la logica conseguenza, se non vogliamo restare nell’area di un inutile astrattismo.”
Don Giovanni partiva dalla Costituzione dogmatica del Concilio, «La Chiesa nel mondo contemporaneo» sottolineando che
“Prima che ad ogni altro spetta, quindi, ai genitori il dovere e il diritto dell’educazione, soprattutto religiosa, dei figli.”
Ma al tempo stesso ammoniva:
“È finito il tempo del catechismo a memoria, della religione nozionistica, imposta con l’intimidazione e l’autoritarismo.”
Esplicitando il concetto con un coloratissimo esempio.
“Non era raro, un po’ di anni fa – ma non sono poi tanti – sentire qualche buon papà riferire al sacerdote, con aria soddisfatta, fatti di questo genere: mio figlio, ieri sera, non riusciva o non voleva imparare a memoria la prima domanda del catechismo.Ma con tre sberle, in cinque minuti, l’ha imparata subito. Se studia, farà la Prima Comunione?Certamente! rispondeva il sacerdote, per niente meravigliato del sistema.Allora, a farlo studiare ci penso io!, concludeva il padre.E così, il bambino cominciava a credere che «Dio è l’Essere perfettissimo ecc. ecc.» in virtù degli scapaccioni persuasivi del padre.”
Dopo ave citato altri esempi ed essersi chiesto quanti scappellotti fossero occorsi per far entrare nelle testoline le risposte alle domande «Cos’è l’Eucaristia?» oppure «Cos’è la Chiesa?», che erano le più lunghe, don Giovanni faceva questa considerazione:
” L’epoca presente, con la sua positività e il suo tecnicismo, non lascia molto posto a un tale metodo di insegnamento e ad una religione tradizionale”
Annunciava quindi la nuova iniziativa: la Parrocchia avrebbe offerto ai genitori, soprattutto a coloro che avevano i figli in età di prima comunione, una guida, un sussidio – iniziativa che era stata validamente attuata in diverse parrocchia della Diocesi di Parigi, con piena soddisfazione dei genitori – per iniziare con i loro figli l’incontro con Dio.
“Non è un catechismo: è solo un aiuto offerto ai genitori i quali sanno come sia difficile parlare di Dio ai figli in modo adeguato alle loro esigenze e alla loro psicologia. […] Rivolgo a tutti i genitori ed educatori l’invito a riservare il più attento interesse alla iniziativa e un generoso impegno nell’attuarla: sono certo che offrirà loro un aiuto notevole per percorre con umiltà, con pazienza e con gioia un tratto del cammino verso la verità insieme con i loro figliuoli.”
La vita parrocchiale di Pescarenico registrava, in quell’autunno 1969, un altro importante evento: il ritorno dei resti mortali di don Abele Meles che venivano collocati in un loculo ricavato nel pavimento del nuovo battistero (nella chiesetta di San Gregorio).
In concomitanza con la tumulazione delle spoglie del primo parroco nella chiesetta di San Gregorio trasformata in Battistero, veniva anche annunciata alla gente di Pescarenico un’altra iniziativa:per rendere giusta testimonianza alle tradizioni e reminiscenze storiche e manzoniane, la Parrocchia aveva preso l’iniziativa di adattare alcuni locali della ex casa parrocchiale ed ex convento a museo storico manzoniano e ridare alla parte del convento di sua proprietà una veste il più possibile vicina alla sua originale, nell’attesa forse non vana di vedere ritornare alla stessa purezza originale anche l’altra parte di proprietà di privati.
Il 30 novembre 1969 entrava in vigore la nuova definitiva riforma della celebrazione eucaristica. Nel Campaniletto veniva inserito un fascicolo contenente una guida per la nuova Messa e don Giovanni faceva le seguenti riflessioni, riferite ai vari momenti della celebrazione:
“(riti iniziali) La novità di rilievo è l’atto penitenziale […]. Non si tratta di una riduzione di preghiere quanto una rivalutazione delle preghiere stesse. D’ora innanzi la confessione non sarà mai omessa e vi partecipa tutta la assemblea che si riconosce peccatrice davanti a Dio e ne invoca il perdono.(liturgia della parola) […] L’omelia non deve mai mancare. È raccomandata anche nei giorni feriali. […](liturgia eucaristica) Qui più numerose sono le modifiche. […]La liturgia eucaristica offre la chiave per entrare nel segreto della Messa: una cena, un convito, compiuto in memoria di quello di Cristo, di cui riproduce i momenti più significativi.Il termine offertorio viene sostituito col termine: preparazione dei doni. La Messa è infatti un’unica offerta, quella di Cristo, non dissociata, naturalmente, dalla nostra.Il termine canone viene sostituito con l’altro: preghiera eucaristica.(riti di comunione) […] Da tutto l’insieme appare con chiarezza ciò che essa è veramente: un atto comunitario e fraterno, un atto ecclesiale, non un fatto personale o un incontro individuale con Cristo.(riti conclusivi) Il significato del congedo: con esso si dimette l’assemblea perché ciascuno ritorni alle sue opere buone, lodando e benedicendo il Signore. […] Si può concludere che la nuova struttura della Messa rappresenta una svolta storica in quanto tutti i gesti, i riti e le parole che li accompagnano vengono ora collocati al loro giusto posto e offrono, nell’armonica sequenza del loro svolgimento, una rinnovata validità pastorale e una forza pedagogica penetrante. La nuova Messa può così diventare veramente la «messa col popolo», cioè il segno più efficace per esprimere e vivere il nostro mistero di Chiesa come popolo di Dio e corpo di Cristo.”
I dodici mesi trascorsi del 1969 avevano portato nuove preoccupazioni. L’anno sarebbe stato ricordato, infatti, per i primi passi legislativi per la introduzione del divorzio, per la persistente inquietudine del mondo giovanile, per il radicalizzarsi delle tensioni politiche e la strage di Milano che sigillava sinistramente un periodo di vuoto politico. Una vorticosità di accadimenti che sarebbe purtroppo aumentata negli anni successivi, prosciugando ulteriormente la capacità di resistere.
Nella sua riflessione agli inizi del 1970, rifacendosi al detto «la storia è maestra di vita», don Giovanni auspicava che quella dell’anno appena trascorso potesse proiettare un luce nuova e indicatrice sull’anno appena iniziato.
Possiamo anzitutto riflettere sul senso che l’anno ha avuto per noi e per quanto dipende da noi, ben sapendo che “non ci verrà chiesto conto delle sorti del mondo, bensì del bicchier d’acqua dato al povero”, ma essendo anche consapevoli che dal bicchier d’acqua dato o non dato al povero dipendono, in qualche modo, le sorti del mondo.[
L’esame sul passato e il proposito per il futuro si riassumeva in una sola parola: coerenza.
“Coerenza di Maria ad un “fiat” consapevolmente pronunciato e continuamente attualizzato.Coerenza di Giuseppe ad una dedizione senza riserve.Coerenza della regalità divina con il tenero corpo di un bimbo amorosamente adagiato in un mangiatoia. […] Coerenza dell’amore che è mancato nel 1969 e dovrebbe impegnare tutti nel 1970”.
Su il Campaniletto di febbraio don Giovanni riassumeva la relazione tenuta durante le Messe dell’11 gennaio precedente, sulle attività svolte nel 1969, le prospettive per l’anno in corso e, più in generale, sullo stato religioso, morale ed economico della comunità di Pescarenico.
“Continueremo anche quest’anno a perseguire una partecipazione sempre più attiva alla S. Messa, consapevoli che se è veramente vissuta ci aiuterà a crescere spiritualmente e ci farà idonei alla testimonianza cristiana, come logica conseguenza, nei vari ambienti dove si svolge la nostra vita di ogni giorno.Per favorire la partecipazione alla celebrazione eucaristica la parrocchia ha provveduto alla stama di un nuovo messalino, con le varianti apportate dell’ultima riforma liturgica e arricchito di parecchi salmi e canti. È importante che si partecipi alla liturgia domenicale anche col canto, che è espressione di gioia, di comunione e di carità.”
Dopo aver ricordato l’attività formativa svolta dagli oratori e sottolineata la «particolare importanza», don Giovanni annunciava che“è ora di pensare alla costituzione del Consiglio Pastorale parrocchiale, voluto dal Concilio ecumenico.”
Dopo aver ricordato le opere realizzate nel 1969 e relative al battistero, alla facciata della chiesa e alla sistemazione dell’abitazione del coadiutore, don Giovanni anticipava quelli che sarebbero stati i lavori da relizzzare nell’anno appena iniziato: il restauro del fabbricato dell’oratorio femminile, allora utilizzabile solo al piano terreno; il tetto e l’impianto di riscaldamento della chiesa parrocchiale.E in marzo rilanciava la riflessione sulla Quaresima e la Pasqua.
“La vera preparazione alla quaresima deve consistere in un processo di conversione del nostro essere. Il tempo della preparazione pasquale deve essere il ricordo allegro della nostra conversione all’amore. È il ricordo della nostra risposta definitiva al grido di Cristo: convertitevi. È la grande conversione della nostra esistenza. È una conversione che fa rabbrividire perché coinvolge il nostro destino definitivo, al di là del tempo. È una decisione allegra perché passa per l’amore ed è impregnata di speranza ma è tragica perché l’uomo deve immolare sull’altare la sua libertà, perché convertirsi è ridonare a Dio la cosa più grande che l’uomo ha ricevuto da Lui: l’unica cosa che può piacergli: la sua libertà.”
Una amara constatazione apriva il Campaniletto di giugno (1970) nella lettera che il parroco invia ai suoi fedeli e che ha un preciso destinatario, la comunità parrocchiale.
“Sarebbe, tuttavia, vana presunzione illuderci: le nostre comunità cristiane sono tali solo a livello di auspicio, di iniziazione e di formazione anche, ma ancora allo stato di pio desiderio. […]Un discorso serio e approfondito sull’essenza della comunità cristiana riveste veramente una importanza basilare; è necessario, perciò, riprenderlo nei prossimi numeri del mensile e farne oggetto di riflessioni costruttive in tutte le forme e le occasioni in cui si esprime la moderna catechesi.”
Tutto prendeva le mosse anche dalla riforma liturgica e dalla ristrutturazione dei riti sacramentari in via di attuazione. Sarebbe presto entrato in vigore il nuovo rito del Battesimo, accentuando il valore comunitario del sacramento. E don Giovanni, riportando alcuni passaggi del nuovo rito, aggiungeva:
“Questa prospettiva suppone ed esige una comunità cristiana viva che dovrebbe emergere ed evidenziarsi specialmente nel sacramento della iniziazione cristiana. Se non erro, ciò significa che bisogna incominciare da capo.Questa doverosa presa di coscienza non deve indurci a un senso di sfiducia bensì deve rappresentare un invito pressante per tutti, sia ad un ripensamento della problematica teologica e pastorale circa la «Comunità» sia ad un conseguente rinnovamento degli impegni e delle dimensioni di una vita parrocchiale veramente comunitaria.”.
Il mese di settembre vedeva la comunità parrocchiale interessata da due significativi avvenimenti: la partenza di don Mario Sala per la missione salesiana in Thailandia e la ricorrenza del 60° di sacerdozio di don Luigi Polvara, 84 anni, ricco di una veneranda giovinezza, che assieme alla gente di Pescarenico voleva ringraziare Dio per averlo chiamato al sacerdozio e per esprimere la sua gioia di essere prete da 60 anni.Il duplice accadimento offriva l’occasione per un’ampia riflessione sulla crisi del prete, che era stata oggetto dell’assemblea generale dei vescovi, tenutasi a Roma nell’aprile dello stesso anno. «La verità – questo il punto di partenza della riflessione – è che il prete del nostro tempo, trascinato dalle nuove realtà sociali e annaspante in mezzo ai detriti di strutture secolari che crollano, si va interrogando sulla propria identità e sul compito che la sua vocazione gli riserva nel presente e nel futuro». Interrogativi e conseguenti risposte riflettevano, da vicino, interrogativi posti alla Chiesa a proposito dei quali, nella lettera alla comunità parrocchiale con la quale si aprivano le pagine del Campaniletto, circolavano tre risposte o tre interpretazioni diverse, ce venivano così efficacemente sintetizzate:
“Per alcuni il cristianesimo è qualcosa di puramente spirituale. Secondo questa concezione Cristo non è presente nella Chiesa. Non è presente nella Eucaristia, ridotta a un memoriale. Non è presente nei Sacramenti, ridotti a puri simboli incapaci di conferire la Grazia e neppure nel magistero, nel ministero e nel governo della Chiesa, che sarebbero espressioni puramente umane. In questa concezione della Chiesa non c’è spazio per il sacerdote.Per altri il cristianesimo e quindi la Chiesa sarebbero ridotti al compito di una pura e semplice promozione dell’uomo: sua libertà, dignità, pace, giustizia sociale e solidarietà tra gli uomini. Un servizio, per quanto nobile, reso solo all’uomo unico protagonista della storia. Non c’è spazio per Dio e quindi è tempo sprecato parlare di ministero sacerdotale in nome di Dio.Infine il cristianesimo e la Chiesa sono la comunione di Dio con l’uomo e degli uomini tra di loro: prototipo Cristo, l’Uomo-Dio.Cristo è presente nella sua Chiesa. Il triplice ministero profetico, sacerdotale e regale è partecipato alla Chiesa in due forme: una forma comune a tutti i battezzati e una forma particolare per chi riceve il sacramento dell’Ordine. Questa verità di fede, ben radicata nella Sacra Scrittura, è irrinunciabile per i cattolici. Qui si innesta il discorso sul sacerdote. Il prete trova qui la propria ragione di esistere come prete; trova la sua identità.”
Quel numero del Campaniletto del gennaio 1971, nell’inserto Dialogo, offriva anche la prima parte di una riflessione particolarmente interessante per comprendere il percorso che Don Giovanni stava cercando di far compiere alla comunità parrocchiale di Pescarenico. L’inserto, presentato con il titolo «Perché il mondo veda», si apriva in forma di preghiera:
“[…] Per la tua gloria e la nostra gioia donaci, o Signore, la forza di cambiare le cose che possiamo cambiare, donaci la pazienza di sopportare le cose che non possiamo cambiare; dacci l’intelligenza di capire quali sono le prime e le seconde”
Il testo del Dialogo, arricchito anche di citazioni testuali dei Vangeli di Luca e di Giovanni e dello scrittore francese Charles Péguy, ad un certo punto poneva questo interrogativo: in che cosa siamo diversi da quelli che si dilacerano dentro i dualismi, dagli altri che vogliono in mondo nuovo? Ecco la risposta:
“Siamo diversi in questo: l’unità che per gli altri è il punto di arrivo, per noi è già compiuta, è già fatta. Il principio è la misericordia che Dio ha buttato dentro di noi. […] E la parola comunità si recupera dentro questo fatto che abbiamo in noi”
Una pagina di don Giovanni, presentata sotto il titolo «Riflessioni 1970 – 1971» (si tratta del testo indirizzato alla comunità parrocchiale in apertura del Campaniletto del febbraio 1971) merita di essere riletta praticamente per intero. Il testo precede il bilancio finanziario della parrocchia, pubblicato in altra parte del mensile parrocchiale, ma don Giovanni sposta subito l’attenzione dal lungo elenco di cifre:
“Agli inizi di questo nuovo anno mi sembra però necessario in modo assolutamente essenziale stare insieme in un momento di meditata riflessione, di serio esame di coscienza per fare il punto sulla nostra situazione di fronte al fatto di essere cristiani, in un momento di ascolto dinamico, con la certezza assoluta radicata in noi che quanto ci diremo o prende dentro noi fino alla radice, e di conseguenza ci cambia, oppure non serve assolutamente a niente.”
Il Campaniletto di aprile (1971) parte da una frase di San Paolo nella seconda lettera ai Corinti: «Se qualcuno è in Cristo, è una creazione nuova: le cose vecchie sono passate, ecco che sono diventate nuove».
“L’affermazione paolina che ho preposto alla riflessione di questo mese l’ho scelta di proposito per obbligarci alla seguente constatazione: non abbiamo coscienza che incontrandoci con Cristo è avvenuto in noi un cambiamento radicale, ci è stato comunicato un essere nuovo, una struttura diversa.Mi manca la fede nel Cristo che ha operato la mia liberazione mediante la sua vita, morte e resurrezione; non possiedo la sicurezza (fede) che l’uomo nuovo, liberato dal male, è reso capace di operare per il bene proprio e degli altri, di porre i termini della vera giustizia fra gli uomini, di stabilire rapporti senza violenza. Le iniziative di carattere comunitario nella nostra parrocchia, tendenti a dar vita, anche se con faticoso sviluppo, a una vera comunità, non sfuggono alle critiche e al rischio di agire in una situazione religiosa e civile di incomprensione.Ma ci conforta il fatto che la nostra scelta si colloca nello spirito del rinnovamento conciliare: quello di collegare il momento liturgico della messa al momento di riflessione e dialogo interpersonale, e all’impegno concreto nella revisione di vita e nella trasformazione della società.”
Nei due successivi numero del Campaniletto (maggio e giugno 1971) don Giovanni centrava le sue riflessioni alla comunità parrocchiale sul consiglio pastorale. Se ne era già parlato in molte occasioni: negli incontri settimanali, nelle omelie domenicali; anche sul bollettino si era spesso accennato all’argomento. Inoltre, tutto il discorso comunitario che si stava portando avanti da anni conteneva, in germe, la concezione del consiglio pastorale. Era la comunità parrocchiale, infatti, che generava il consiglio pastorale, il quale ne doveva essere la vera ed autentica espressione. Consisteva allora, in poche parole, in un certo numero di laici, eletti democraticamente dalla comunità, per collaborare con il clero nella conduzione pastorale della parrocchia. E ogni parrocchia era sollecitata a crearlo. Don Giovanni affrontava così l’argomento:
“Una domanda si impone immediatamente: siamo preparati ad esprimere il consiglio pastorale? O rischia di essere un parto prematuro, una creatura destinata a morire o a sopravvivere per animazione artificiale e divenire una struttura estranea alla vita comunitaria ancora latente?Gli interrogativi non trovano una precisa risposta anche perché è difficile stabilire fino a che punto il discorso di “Comunità” è stato recepito e vissuto dalle varie migliaia di cristiani di cui si compone la parrocchia.Potrebbe anche darsi che il tentativo produca l’effetto di risvegliare una più viva attenzione al discorso; e mi auguro, ottimisticamente, che tale ipotesi si realizzi.Avvicinandoci, perciò, a una così importante verifica della consistenza comunitaria della nostra parrocchia soffermiamoci in alcune riflessioni.Le difficoltà e perplessità espresse in merito alla creazione del consiglio pastorale derivano dalla constatazione che il laicato cattolico, da tempo, vive in stato di disimpegno nel campo ecclesiale.Un lungo complesso di vicende storiche lo ha portato a “clericalizzarsi”, demandando al clero ogni responsabilità nell’annuncio della fede e nei problemi pastorali della parrocchia. La mancata partecipazione dei laici alla missione evangelizzatrice della Chiesa ha prodotto il disimpegno per le sorti del Regno di Dio e il disinteresse per la pastorale parrocchiale. La completa assenza della comunità locale alla designazione del proprio clero ha reso possibile da un lato l’autoritarismo e dall’altro una visione sacrale del prete da parte del popolo, che si è sentito staccato e su sponda diversa. La mancata partecipazione dei laici alla vita amministrativa della parrocchia ha aumentato il disinteresse per la vita parrocchiale.Questa situazione non esclude che gruppi di cristiani aperti e generosi, specialmente giovani, siano in cammino verso nuovi traguardi. Ma la collettività non è così.Da queste oneste, sincere e concrete riflessioni deve partire il nostro impegno e il nostro risveglio.Il Concilio ci ha più volte ripetuto che “i laici” sono “Chiesa”. Dobbiamo rendercene sempre più consapevoli e sempre meno estranei alla vita della Chiesa; “ per essere davanti al mondo testimoni della resurrezione e della via del Signore Gesù e un segno del Dio vivo”. Per una comunità cristiana che vivesse così la sua comunione in Cristo il consiglio pastorale non sarebbe più un problema”
La visita pastorale veniva preceduta, giusto di una settimana, domenica 19 settembre, dal saluto alle Suore di Maria Bambina che aveva iniziato la loro attività a Pescarenico proprio nel mese di settembre del 1927. Con la venuta delle religiose anche la parrocchia – così annotava don Abele Meles nel suo diario – conobbe un tangibile aumento di vitalità. Le ottime Suore di Maria Bambina susseguitesi per più di un quarantennio – annotava questa volta don Giovanni Brandolese – si dedicarono con impegno all’educazione e assistenza dei bambini dell’Asilo rendendosi, altresì, generosamente disponibili per la formazione della gioventù femminile e per le attività parrocchiali. E aggiungeva:
“La decisione della Congregazione di togliere le loro Suore da diverse parrocchie, compresa Pescarenico, ci ha dolorosamente sorpreso. […]Con vivo rammarico le vediamo lasciare la nostra Parrocchia che ha tanto beneficiato della loro presenza e desideriamo esprimere loro tutta la nostra gratitudine e l’assicurazione del nostro riconoscente ricordo. […] La celebrazione dell’Eucaristia darà alla nostra sofferenza per una partenza che ci addolora il conforto della fede nel mistero di Cristo, nel Quale i rapporti di amicizia, di affetto, di Comunione, vincono il tempo e superano le distanze”
Ai primi di settembre iniziavano i lavori per la sistemazione del tetto della chiesa, in condizioni così pessime da rendere necessaria la sostituzione quasi totale delle strutture in legno. Don Giovanni, dopo aver sottolineato che la chiesa di Pescarenico è un notissimo monumento manzoniano, sperava tanto nell’aiuto delle autorità preposte alla conservazione dei monumenti quanto nell’interessamento concreto dei numerosi affezionati al Manzoni e ai luoghi manzoniani. Ma si dichiarava soprattutto fiducioso «che l’invito a offrire un contributo particolare durante le sante Messa di ogni domenica del mese venga accolto con comprensione e che ciascuno risponda nella misura che gli è possibile».
Nelle pagine del Campaniletto del mese di ottobre, l’inserto Dialogo propone, con la stessa formula della sintesi, la continuazione dell’opera di Max Delespesse «Questa comunità che si chiama Chiesa» con le pagine di «La conversione cristiana: cambiamento di rapporti», che offriva un esame più particolare della vita, dei ritmi e dei problemi ai quali una comunità si trovava di fronte.
Il mensile parrocchiale di novembre offriva invece immagini e cronaca dell’incontro con l’arcivescovo, in visita pastorale il 26 settembre precedente.
Il mese di dicembre che si apriva, il 4, con la inaugurazione del bocciodromo «Il Campaniletto» al Circolo Acli della parrocchia, veniva segnato da due pesanti lutti per la comunità di Pescarenico: il 10 dicembre la scomparsa di monsignor Luigi Colombo, secondo parroco di Pescarenico per quasi trent’anni; due giorni dopo di Ugo Merlini, presidente in carica dell’Associazione Nazionale Alpini dopo essere stato presidente della Sezione di Lecco della stessa Associazione.
Il 1972 si apriva con quella che era diventata rapidamente una tradizione: la lettera alla comunità parrocchiale, in apertura delle pagine del Campaniletto, con le considerazioni sulla situazione religiosa della comunità, contestualmente alla presentazione del bilancio finanziario relativo all’anno precedente. Il titolo della prima lettera di don Giovanni alla comunità parrocchiale aveva un titolo molto eloquente, che suonava come esplicito invito: alla riscoperta dell’essenziale.
“Il Cristianesimo è Vita, non è un fare qualche cosa.Questa verità ci obbliga a un serio esame di coscienza e a degli interrogativi precisi.Come vivo il cristianesimo, io?Che incidenza ha Gesù Cristo nella mia vita?Mi sento cambiato, mi sento diverso per il fatto che sono cristiano?Credo veramente nel Battesimo, nel mio incontro personale con Cristo, che mi ha costituito Figlio di Dio? …che mi ha inserito in una comunità cristiana?Considero, perciò, la parrocchia in cui vivo, o che ho scelto, come il luogo d’incontro con i miei fratelli?Li conosco, o mi sforzo di farlo, e a quale livello condivido la comunione di vita generata in me e in loro da Gesù Cristo?Considero la Messa e i Sacramenti come momenti di grazia che costruiscono e alimentano la comunità di Cristo che ci vuole e ci fa uniti in un solo corpo?È chiaro che questi interrogativi richiedono da ciascuno di noi una risposta personale, derivante dal confronto della nostra posizione con l’annuncio cristiano. In tutti i nostri incontri di preghiera e di riflessione sulla Parola di Dio abbiamo, tuttavia, concretamente constatato e umilmente ammesso un dato di fatto: la scarsa conoscenza del messaggio cristiano. Viviamo una fede di tradizione. Si sente il bisogno di una proposta cristiana autentica, essenziale, chiara e precisa.”
Don Giovanni indicava tra le opportunità da utilizzare la valorizzazione degli incontri del venerdì; la valorizzazione dell’anno della cresima e la preparazione alla prima comunione, coinvolgendo i genitori e possibilmente tutta la comunità; l’incremento al mensile parrocchiale.
Dalle pagine del Campaniletto diventava quindi una proposta chiara di Chiesa, con i riferimenti tanto all’espressione paolina della comunità cristiana come un corpo scompaginato dall’amore di Dio che a quella evangelica di Giovanni che la Chiesa siamo noi, incorporati in Cristo per mezzo del Battesimo.
Sul Campaniletto del mese di maggio, «alla riscoperta dell’essenziale» diventava una sorta di titolo di rubrica, che sarebbe poi stato mantenuto nel corso dell’anno, associato di volta in volta ad un tema diverso. Questa volta un interrogativo: c’è un avvenire per la San Vincenzo? Lo spunto era fornito dall’incontro della San Vincenzo parrocchiale alla quale don Giovanni aveva indicato quale sarebbe dovuta essere la giusta collocazione nell’ambito della Chiesa locale. Le riflessioni emerse in quell’incontro coinvolgevano tutta la comunità e perciò don Giovanni aveva ritenuto utile riproporle all’attenzione di tutti.
La consapevolezza di quello che si è per grazia di Cristo diventava l’oggetto della lettera alla comunità parrocchiale del Campaniletto di luglio e agosto (quella di giugno era stata infatti lasciata a don Mario Frecchiani, per diversi anni coadiutore a Pescarenico, che in una lettera ai pescarenichesi comunicava la ricorrenza del 25° anniversario della sua ordinazione sacerdotale).
“Il cristiano è per definizione un “convertito”, uno cioè che, interpellato dalla Parola di Dio, esce dalla sua situazione di peccato, abbraccia la fede nel Cristo e, mediante il segno del Battesimo, entra a far parte del nuovo popolo di Dio che è la Chiesa.Egli sa che la conversione è interamente opera di Dio, sua iniziativa e come una nuova creazione; ma sa pure che essa è interamente opera dell’uomo. L’apostolo Paolo, il grande convertito di Damasco, così riassume questa doppia dimensione: “Per la grazia di Dio sono quello che sono, e la grazia, che egli mi ha data, non fu vana” (1 Corinti 15,10).In essa si verifica anzitutto un incontro personale con Cristo, con il suo Vangelo, con il mistero della sua morte e resurrezione. E’ un progressivo abbandono del passato, delle fals sicurezze, dell’egoismo, degli idoli, per entrare decisamente nelle vie dello Spirito che portano alla libertà e all’amore. Via faticosa, impervia e da riprendere ogni giorno.La fonte a cui il cristiano si ispira, in questo continuo ritorno e cambiamento interiore, è la parola di Dio: su di essa confronta la sua vita, i suoi giudizi, la sua azione. Sa come Paolo che Cristo “ci ha resi liberi per vivere nella libertà” e quindi lotta per non farsi “imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Galati 5,1). Se accetta gli atti penitenziali e anche la sofferenza fisica, lo fa per partecipare, come Paolo, alle sofferenze di Cristo e per rispondere al suo disegno (2 Corinti 4,10).Se cerca di affrancarsi dalla legge, lo fa per sottomettersi all’unica legge di Criso, quella dell’amore: “Tutta la legge si compendia in questo solo comandamento: ama il tuo prossimo come te stesso” (Galati 5,14).Questo amore per il prossimo aiuta il cristiano a superare l’ambito strettamente personale della conversione, per assumere decisamente anche la dimensione sociale. Diviene allora il testimone e il profeta che denuncia le strutture inumane che opprimono l’uomo in tutti gli ambiti: politici, sociali, culturali, ricreativi. Sa che la violenza non risparmia, come non risparmiò il Maestro, colui che si consacra alla verità e a svelare i sotterfugi dei potenti che, troppo spesso, si dicono cristiani e si ammantano di virtù. In un mondo oppressore, sordo alle esigenze di libertà, di pace, di lavoro “un discepolo di Gesù non può fare a meno di lottare decisamente, accettando in anticipo il rischio di poter essere condannato come “blasfemo”, come nemico della civiltà cristiana, come compagno di viaggio di tutti i peccatori e i pubblicani che oggi occupano lo stesso luogo storico dei loro predecessori all’epoca di Cristo” (Gonzales Ruiz). La continua conversione implica tutti questi rischi, e il cristiano autentico sa correrli e pagare anche di persona per restare fedele a Dio e all’uomo”
La conversione era il tema della lettera alla comunità parrocchiale anche del Campaniletto del successivo mese di settembre, due pagine a stampa fitte fitte di citazioni dei testi conciliari, in particolare e più volte della costituzione conciliare Lumen Gentium.
Si tornava a parlare della catechesi anche sul primo numero del Campaniletto 1973. Anzi era il Campaniletto stersso a fornirne l’occasione in quanto, con il numero di gennaio 1973, iniziava il suo sesto anno. Era uscito regolarmente ogni mese, nonostante la notevole spesa per la stampa, grazie al sostegno di quasi tutte le famiglie ed entrava in tutte le case di Pescarenico per l’impegno di coloro che provedevano alla distribuzione.
Don Giovanni così richiamava il significato che il mensile intendeva avere per la comunità parrocchiale:
“vuole essere: a) uno strumento di COMUNICAZIONE delle esperienze più vive che nascono e crescono all’interno della comunità; b) uno strumento che aiuti la nostra crescita nella vita e nell’esperienza cristiana; c) un LAVORO fatto da alcune persone che apre, però, un dialogo continuo con gli altri e stimola tutti a un lavoro comune Ci porta in casa la CATECHESI perché vuole essere un aiuto pedagogico nel lavoro di riscoperta della nostra vera immagine e fisionomia e, quindi, di recupero di una più autentica esperienza cristiana.Le pagine di meditazione intendono essere un richiamo alla riflessione e alla preghiera individuale e familiare.Partecipare attentamente alle nuove esperienze in atto nella parrocchia significa, inoltre, essere aiutati a capire il linguaggio del nostro mensile: un linguaggio che ripete i termini, ma, soprattutto, richiama il messaggio nuovo, la vita nuova portati da Cristo. I contemporanei del Messia che di Lui non accettavano né il messaggio né la vita ripetevano precisamente la nostra obbiezione: il tuo discorso è difficile (Gv 6,60). Il Campaniletto, perciò, più che un foglio da leggere è lo strumento che la comunità parrocchiale si dà per il suo riconoscimento in Cristo. Nella misura in cui questo avverrà, apparirà a tutti chiaro che il nostro mensile non è scritto dai più intelligenti o dai più bravi, ma è scritto da tutti, non solo a parole ma col linguaggio concreto di una comune esperienza di Vita Nuova di cui il Campaniletto si fa testimone e strumento di comunicazione”
Lo stesso numero del Campaniletto (gennaio 1973) conteneva le lezioni 3 e 4 della catechesi, la prima su «Il tradimento dell’istanza di liberazione», l’altra su «La strada al compimento»; la trascrizione, per appunti, dell’incontro tenutosi il 29 dicembre nel salone parrocchiale tra le persone che partecipavano alla catechesi del venerdì; e ben quattro pagine di presentazione, firmate Giulio Boscagli, dell’Unità di Transizione «Lecco Uno».
Don Giovanni ritornava comunque su il Campaniletto e i suoi contenuti anche nella lettera alla comunità parrocchiale del successivo mese di febbraio.
La quinta lezione della catechesi, contenuta in quel numero del mensile parrocchiale, aveva per titolo «L’annuncio della liberazione». Una parola, quest’ultima, che si ritrova nel titolo della lettera di don Giovanni ala comunità parrocchiale con cui si apre il Campaniletto del mese di marzo.
La parola liberazione era anche nel titolo delle due lezioni della catechesi contenute in quel numero del mensile parrocchiale, entrambe dedicate a «Il volto della liberazione».L’insistenza sulla catechesi trova un’altra testimonianza documentaria rilevante nelle stesse pagine dove sono raccolte, per appunti, le esperienze in atto tra alcuni genitori che partecipavano alla nuova catechesi voluta da don Giovanni per i bambini che dovevano ricevere la prima comunione e la cresima. Catechesi nella quale don Giovanni aveva voluto responsabilizzare i genitori, soprattutto le mamme, affidando loro un ruolo importante.Le lezioni della catechesi venivano riprese anche nella giornata di Caprino Bergamasco, cui partecipavano più di quaranta parrocchiani. E i contenuti della giornata erano oggetto della lettera scritta da don Giovanni alla comunità parrocchiale sulle pagine del Campaniletto di aprile.
Tra le pagine del mensile parrocchiale sia in quel numero di aprile che nel successivo di maggio, ampio spazio, con contributi diversi, veniva dato alla questione doposcuola parrocchiale. In maggio l Prima Comunione e la Cresima dei ragazzi rappresentavano l’avvenimento particolare del mese, oggetto anche della riflessione proposta, in apertura del Campaniletto, alla comunità parrocchiale.
L’ottava lezione della catechesi – «Il frutto della liberazione» – pubblicata nel Campaniletto di maggio (1973) sembrava quasi anticipare, nel titolo, quanto don Giovanni annunciava nella lettera alla comunità parrocchiale il successivo mese di giugno: una esperienza di Chiesa che traeva origine dal Fatto cristiano e che avrebbe preso il nome di fondo comunitario.
“La terza domenica di ogni mese nessuno passerà a raccogliere l’offerta.Al momento dell’offertorio, durante il canto dell’assemblea, deporremo la nostra offerta nei cestiti collocati l’uno al centro, l’altro davanti all’altare, per costituire un Fondo Comunitario.Per il modo con cui da ciascuno verrà accolto, il gesto conterrà anche il valore di verifica della nostra Fede, della nostra appartenenza a Cristo e per Gesù Cristo, alla Chiesa.Per comprendere meglio il significato di tutto ci riferiamo alla vita e all’esempio delle prime comunità cristiane e ai loro gesti di comunione come ce li descrivono gli Atti degli Apostoli. […] Sono testimonianze che si comprendono solo nella fede di essere oggi, come allora, un cuor solo e un’anima sola per la Grazia di Gesù Cristo.”
E proprio con quel numero del Campaniletto iniziava la pubblicazione delle esperienze che la comunità giovanile stava portando avanti nella parrocchia. E la prima esperienza documentata era quella del CLAB.
In quel gennaio 1974 eravamo alla lezione numero 13, titolo «Il luogo in cui la liberazione è vivibile: la Chiesa». Ecco perché anche la relazione annuale, presentata alla parrocchia durante le messe di una domenica di gennaio e riproposta all’attenzione di tutti su il Campaniletto del successivo mese di febbraio assumeva un particolare rilievo: la relazione annuale per chi sentiva l’appartenenza alla comunità cristiana aveva il significato di una verifica del modo con cui viveva la Chiesa e la viveva in un luogo preciso.
“Venendo alla Messa a Pescarenico esprimiamo di voler fare la nostra esperienza di Chiesa nella vita di ogni giorno, nelle attività e negli incontri quotidiani, dentro o fuori la circoscrizione parrocchiale, facendo riferimento a questa parrocchia, vivendo la nostra comunione nella fede in questa comunità parrocchiale.La nostra è perciò una confessione, una analisi che, se necessario, potrà essere dura e senza esitazioni, per aiutarci a non tradire la nostra Missione, a non tradire noi stessi, a non tradire il dono che Dio ci ha fatto, il comandamento che Cristo ci ha dato: siate testimoni nel mondo dell’Amore di Dio…; andate, ammaestrate tutte le genti…; il mondo crederà che io sono il Salvatore se voi sarete una cosa sola, se vi amerete gli uni gli altri come vi ho amato Io.Ci deve permanentemente e profondamente colpire, giudicare, costringerci alla conversione questa impressionante e misteriosa condizione posta da Cristo, il Quale ha liberato l’umanità dal peccato ma ha promesso e stabilito che l’uomo si libererà, l’uomo si salverà, normalmente, per mezzo della Chiesa e che il mondo cambierà condizionatamente alla testimonianza che di Lui ne darà la Chiesa.”
Il 23 gennaio 1974, è documentato un incontro con il Clab, impegnato in molti ambiti della parrocchia quali l’oratorio, il doposcuola e l’assistenza agli anziani. Il Campaniletto di quel febbraio 1974 riportava un documentato resoconto dell’incontro.E sempre quel numero del mensile parrocchiale presentava il testo della quattordicesima ed ultima lezione della catechesi, dall’eloquente titolo «Mater Ecclesia».È, questa ultima, l’esclamazione gioiosa della cristianità primitiva. Questa espressione familiare è sorta innanzitutto sulle labbra dei martiri. Essa sta scritta su quei mosaici nei quali incede il passo dei sani. I padri della Chiesa non si stancarono di annunciarla ai loro fedeli, e nella notte di Pasqua dalle voci giovanili dei diaconi si innalzava il canto alla madre Chiesa.«Chi vi ha generati, voi, ai quali io parlo, che siete le membra di Cristo?», così Agostino interroga i suoi uditori, e dà egli stesso la risposta: «sento la voce del vostro cuore: la madre Chiesa!».Non c’era solo Agostino in quella lezione conclusiva della catechesi, aperta da un brano della liturgia ambrosiana del quinto secolo, ma anche Clemente di Alessandria, Ambrogio di Milano, Giacomo di Sarug, Ildegarda di Bingen, Alcuino di York, Quodvultdeus di Cartagine, Metodio di Filippi.Una grande lezione sulla Chiesa, che veniva poi ulteriormente sviluppata nella lettera alla comunità parrocchiale del mese di marzo.
“L’invito che la Liturgia di questo periodo quaresimale ci rivolge insistentemente è un invito alla Penitenza, alla Conversione: è una sollecitazione costante a vivere i due valori fondamentali dell’esperienza cristiana: il riconoscimento del nostro peccato e la ripresa in un chiaro cammino di fede. Sono atteggiamenti permanenti del cristiano che, però, possono perdere la loro autenticità ed essere vissuti in modo distorto e angustiante se non derivano da una coscienza illuminata dalla Fede, se non sono originati dalla Fede che Cristo ci ha salvati, ci ha riconciliati con Dio per mezzo della sua Obbedienza al Padre. Quando questa Fede decade, succede inevitabilmente che il cristiano si comporti, se è onesto, come un qualsiasi pagano onesto: cercherà accanitamente di salvarsi con le sue mani, nelle sue opere riporrà la speranza di evitare la dannazione e di guadagnarsi la salvezza “
Don Giovanni correva il rischio di ripetere una cosa già nota affermando che questo non è scontato: e lo sosteneva invitando a provare a pensare alla potenza e allo spessore che parole come libertà, responsabilità, errore, hanno nella costruzione della Chiesa e quindi nella comunità a Pescarenico. E continuava:
“Quello che mi preme dire come cosa fondamentale è che il rischio più grosso per il cristiano di oggi è il pressappochismo della sua fede.Il cristiano di oggi non vive più il significato della sua fede, non vive più la sua vita secondo tutto il significato che questa vita ha.Io credo che questo sia stato l’unico motivo del nostro incontro a Somasca ed è l’unico motivo del nostro lavoro oggi.L’unico motivo è che noi, cristiani della parrocchia di Pescarenico, vogliamo essere dei cristiani che vivono fino in fondo il significato della propria fede in Pescarenico.”
Il Campaniletto del febbraio 1975, era davvero singolare: «L’anno scorso 35 di noi ci hanno lasciato per entrare nell’eterna casa del Padre. […] Ciò deve aiutarci a considerare questo momento di riflessione come incitamento a non buttare via il tempo, sprecandolo nell’attaccamento mondano alle cose che passano, e a richiamarci fortemente i valori che danno vera consistenza e significato alla nostra vita, in vista dell’eternità».
“L’inizio e il termine del nostro cammino di Chiesa hanno un nome: Gesù Cristo, la persona con cui ci siamo incontrati nel Battesimo per la Fede dei nostri genitori, della Chiesa, e per la scelta gratuita del Signore; Egli ci ha chiamati a far parte del suo popolo. Per mezzo di Gesù Cristo, Dio ci ha scelto e ci chiama a vivere l’esperienza della sua Alleanza, della Sua Comunione, della Sua presenza e della sua compagnia, e ci pone nel mondo come annuncio di salvezza, come luogo e mezzo per vivere nella pace, nel’amore, nella giustizia, nella libertà e a proporre e rivendicare per ogni uomo questi diritti per la sua origine da Dio e perché fatto a Sua immagine e somiglianza.”
Il 9 febbraio si teneva la giornata comunitaria a Somasca e il Campaniletto dello stesso mese di febbraio anticipava il testo della lezione di don Giovanni sull’Alleanza di Dio con l’uomo e il senso del peccato. Con questa eloquente premessa:
“La riconciliazione è innanzitutto una iniziativa presa da Dio nei confronti dell’uomo: i termini «vocazione» e «alleanza» ci hanno richiamato la condiscendenza di Dio che , di fronte all’attesa dell’uomo, è intervenuto nella sua vita e ha creato una nuova storia – la storia di Dio – con noi.Essa, che è fino in fondo, opera di Dio chiede pure all’uomo l’adesione di tutto se stesso, l’obbedienza della fede, fino a che l’alleanza non abia pervaso tutte le fibre dell’esistenza umana e del cosmo.La storia di Dio diventa perciò anche storia dell’uomo, dell’accoglienza o del rifiuto da parte dell’uomo di tale alleanza; e soprattutto diventa la storia della instancabile fedeltà di Dio a se stesso, di una ricreazione continua che Dio opera nel mondo.È una vicenda, quella dell’alleanza, costruita continuamente sull’incapacità e non volontà dell’uomo a essere fedele (il peccato) e sull’intervento del Signore che reintegra continuamente l’uomo nell’alleanza. Dio giudica la sua storia (attraverso il profeta) e pone nel mondo, a partire dal ricostituirsi dell’obbedienza, un germe, un seme, un inizio nuovo del suo popolo (è «povertà di Dio», il «resto d’Israele»), premessa e profezia del rinnovarsi di tutto il mondo.È quanto mediteremo in questa seconda lezione.”
Lezione che aveva poi una immediata eco nella lettera alla comunità parrocchiale del successivo mese di marzo, in cui la Chiesa celebrava la memoria della Passione, della morte e della Resurrezione di nostro Signore.
Con l’inizio del 1976 il Campaniletto cambiava aspetto. Cambiava il formato, da rettangolare a quadrato; cambiava la copertina che avrebbe sempre avuto come base l’immagine di Pescarenico; cambiava la disposizione interna degli articoli. Ma l’aspetto più importante della trasformazione era che il Campaniletto intendeva diventare sempre più un reale e concreto strumento di aiuto al crescere della comunità cristiana in Pescarenico. «Il Signore ci dona un anno nuovo» esordiva don Giovanni nella sua prima lettera del 1976 alla comunità parrocchiale, così continuando:
“Noi, purtroppo, ci siamo abituati a contare i giorni, i mesi e gli anni – che si snodano con implacabile regolarità e quasi si spingono nel succedersi incalzante di una breve apparizione – secondo la divorante meccanica del calendario civile. Ci siamo, cioè, abituati a vivere il tempo con una mentalità mondana, con la pretesa di possederlo: pretesa che diventa, via via, angosciante, nel vedercelo sfuggire di mano. E misuriamo il vigore, l’efficienza, il valore della vita dell’uomo dall’età, dagli anni che uno non ha o che ha in numero sufficiente per morire.Per il credente, per chi vede e vive le realtà nella intelligenza e nella concretezza della Fede, la vita dell’uomo che scorre nel tempo, dal Battesimo alla Morte, ha già la dimensione dell’eternità e ne è la Vigilia. È l’attesa dinamica dell’incontro definitivo col Padre. Perciò scandisce il tempo sui ritmi degli interventi decisivi di Dio nella storia: l’Avvento, il Natale, la Pasqua, la Pentecoste, la Vita Nuova o Resurrezione.La Fede, coscienza ed esperienza dell’Alleanza di Dio con l’uomo, compiutamente realizzata in Gesù Cristo, è la fonte ispiratrice dell’azione, della presenza, della testimonianza del cristiano nel mondo. E la Chiesa, che è il luogo dove l’esperienza della Comunione è visibile e incontrabile, è annuncio e segno della Comunione e della fraternità universale nel tempo ed anche profezia della Comunione futura ed eterna. Questi, fondamentalmente, sono i temi su cui la Catechesi di quest’anno ci aiuta a riflettere. […] Meditiamoli personalmente, riprendiamoli assieme nelle case che ospitano la Catechesi, affinché la Parola di Dio faccia crescere progressivamente la nostra Fede, che è il vero ed unico sostanziale Viatico del nostro cammino nel tempo verso la Gloria futura”
Nel mese di maggio 1976 un terremoto devastava la terra friulana e come era successo dieci anni prima per l’alluvione, immediata scattava la solidarietà di Pescarenico, con la raccolta di aiuti che venivano portati direttamente a San Pietro di Ragogna, Moggio Alto e a Tarcento. Guidava i soccorsi lo stesso don Giovanni e le pagine del Campaniletto di giugno contenevano una documentata cronaca. Praticamente 13 delle 16 pagine del mensile parrocchiale erano dedicate a quanto Pescarenico aveva fatto e stava facendo per il Friuli, e che don Giovanni così riassumeva nella lettera alla comunità parrocchiale:
“Il terremoto, che ha fatto paurosamente sussultare la terra friulana provocando immane distruzione e causando tante vittime, ha scosso profondamente anche il cuore di tutti noi, man mano che si veniva a conoscenza delle drammatiche dimensioni della catastrofe. Devo dire che tutta la nostra comunità si è sentita partecipe della situazione dei fratelli friulani e, con senso di edificante solidarietà, ha concorso in tutti i modi per alleviare in qualche misura i loro bisogni. La gente di S. Pietro di Ragogna, di Tarcento, di Moggio Alta, alla quale abbiamo inviato i nostri aiuti, hanno capito che quel poco che potevamo fare era un segno della nostra condivisione, dettato da sentimenti di vera fraternità.L’eccezionale gravità del fatto ci ha come strappati violentemente dal torpore del nostro comodo isolamento, ha messo in evidenza la nostra abituale estraneità e la difficoltà a sentire e a vivere la nostra esperienza di Chiesa secondo i fattori che la caratterizzano:
- attenzione e aiuto vicendevole come dimensione normale dei nostri rapporti;
- il portare i pesi gli uni degli altri, cioè la condivisione, come dimensione normale;
- il perdono, come dimensione normale. […] La tragedia del Friuli ha ridestato in noi sentimenti di cristiana solidarietà e di comunione fraterna: ma questi valori, che ci sono proprii per la Fede e il Battesimo possono diventare espressione permanente della nostra realtà di comunione solo se vogliamo veramente che lo Spirito di Dio, che abita in noi, ci rinnovi nella profondità del nostro essere.”
Ai lettori del successivo Campaniletto (luglio-agosto), che usciva in un periodo prettamente balneare, don Giovanni contrapponeva agli inviti vacanzieri questa sottolineatura: «Non con le parole ma con la sua vita la Chiesa è, per tutti, testimonianza viva ed evidente di liberazione e di promozione», seguita dall’invito a «rendere pubblica la propria fede, la propria cultura».
Il 1977 si apre, nella consueta lettera di don Giovanni alla comunità parrocchiale, con una espressione – «Carissimi»[ – che da allora sarà sempre associata al parroco di Pescarenico.
“Carissimi, inizio così la prima lettera che vi invio quest’anno tramite il Bollettino: non perché è il normal modo di dire, ma per la semplice ragione che «carissimi» mi siete veramente nel Signore. È Lui che a questa parola, tanto abusata e svuotata di senso, ridona il suo pieno significato cristiano. La comune paternità divina genera tra di noi una parentela ben più profonda di quella del sangue e ci rende «carissimi» gli uni gli altri nella Fede e nella Comunione con Gesù Cristo.La nota che caratterizza la vita della Chiesa, che noi viviamo a Pescarenico, è, infatti, la Carità, è «l’amarsi gli uni gli altri come ci ha amato Lui». […]La carità è una virtù, un valore che viene da Dio, dal suo Spirito che abita in noi. È l’esperienza della Fede genuina ed autentica. È amare senza preferenza di persone, come ama Dio, di un amore che supera ogni ostacolo, fino al sacrificio, fino alla morte di croce. È perdonare. […]Questo è l’augurio che vi faccio per il Nuovo Anno: un comune impegno affinché i termini «fratello», «carissimo», «padre» e «figli», così familiari e frequenti nella Liturgia cristiana, siano da noi recuperati con il loro vero significato, contenuto e sostanza, nella concretezza della vita e dei nostri rapporti quotidiani.”
Questo primo testo dei «carissimi» trovava poi la sua immediata amplificazione, nelle stesse pagine del mensile parrocchiale, con la seconda lezione della catechesi dal titolo «Il volto dell’uomo si delinea e definisce in Gesù Cristo».
Sullo stesso numero del Campaniletto, dalla pagina 13 alla 16, sotto il titolo «Pescarenico ed i suoi pescatori» compariva il primo di una serie di articoli dedicati a Pescarenico. Nella presentazione si legge: abbiamo iniziato parlando di coloro che per primi hanno abitato le rive dell’Adda ed ai quali è giusto riservare diritto di precedenza. In questo articolo si tenta di tracciare la storia di queste famiglie di pescatori che è poi la storia stessa di Pescarenico. Nei prossimi parleremo della vita più recente dei pescatori stessi, e dello spegnersi di un’attività che era stata per secoli l’unico lavoro di cloro che abitavano in Pescarenico.
Un
inserto di otto pagine conteneva il testo del regolamento per l’istituzione dei
consigli di quartiere nel territorio del Comune di Lecco e al decentramento
amministrativo, con l’approvazione appunto della nuova regolamentazione, era
dedicato un ampio articolo firmato da Giulio Boscagli.
Il nuovo anno si apriva con l’augurio formulato da don Giovanni nei suoi «Carissimi» a fare del 1978 un Anno Domini, cioè un anno del Signore, ricordando che
“È come dire che il tempo non è tanto scandito dal calendario quando dalla Presenza del Signore nel tempo e nella storia. Per noi significa che ogni giorno, ogni ora e ogni momento sono uno spazio in cui ci è dato di vivere la compagnia, la Presenza del Signore. Il mistero dell’Incarnazione del Verbo, di Dio che si è fatto uomo per condividere la nostra condizione umana, è il compimento concreto e visibile della Sua Presenza. Non c’è per noi, dunque, augurio più vero e impegno più essenziale del camminare incontro a Lui, per vedere i segni della Sua Presenza.”
Dopo
aver invitato tutti a seguire l’esperienza dei pastori di Betlemme, don
Giovanni continuava:
Con il nuovo anno (1979) il mensile parrocchiale il Campaniletto metteva una veste nuova. «Sarà forse meno elegante di quella rivestita negli anni passati per merito dell’intelligente e prezioso lavoro della Tipografia Beretta; però è fatto in casa ad opera di un drappello di parrocchiani, giovani o già in pensione, pieni di coraggio e disposti a dedicare tempo, mente e fatica per comporre un bollettino decoroso nella forma e costruttivo nei contenuti» sottolineava don Giovanni, così continuando: «Ringrazio cordialmente la Tipografia Beretta per l’impegno e la cura prestata per tanti anni nella stampa del nostro bollettino; auguro, poi, a tutti i collaboratori che si sono assunti il notevole peso dell’iniziativa la forza di perseverare e il confronto di sapere che il loro lavoro non solo sarà apprezzato ma anche sapientemente usato».
“Il nostro mensile, infatti, ha la pretesa di proporsi come strumento educativo al “senso religioso” della vita, in tutte le sue manifestazioni e situazioni. Il “senso religioso” nella vita cristiana è frutto della Fede vissuta, è l’esito dell’incontro con Cristo, non come fatto dottrinale e marginale, ma come “avvenimento” che cambia radicalmente il mio essere. Chi di noi non avverte un certo distacco tra il “sapere” ed il “credere” anche che Dio è con noi e il modo di vivere le realtà quotidiane come il lavoro, lo spendere i soldi, la casa, l’amore, l’educazione, ecc.? Non è difficile accorgerci che esiste una chiara dissociazione tra fede e vita: un conto è la fede, un altro è la vita con tutti i suoi problemi e le sue espressioni. Quanto spesso dobbiamo constatare che non è fede che guida i nostri passi, che determina il nostro pensare e agire, che ispira i nostri giudizi, che penetra il cuore e genera sentimenti di bontà, di perdono, di misericordia, di speranza… […]”
Significativo spazio veniva dato, su quel primo Campaniletto del 1980, al cambio avvenuto nella guida dell’arcidiocesi ambrosiana, lasciata dal cardinale Giovanni Colombo a Carlo Maria Martini. E sulle pagine iniziava una nuova rubrica, dedicata ai Santi del mese.
La lettera alla comunità parrocchiale del successivo mese di febbraio costituisce, come le precedenti dello stesso mese, un importante documento, una sorta di punto fermo imprescindibile per raccontare don Giovanni a Pescarenico. Come consuetudine, infatti, don Giovanni proponeva, all’inizio del nuovo anno, alcune riflessioni «che ritengo opportune per verificare il modo con cui abbiamo utilizzato l’anno passato e per aiutarci a fare buon uso del tempo che il Signore ci concede di vivere. Per noi cristiani chiederci come viviamo il tempo vuol dire metterci davanti a Dio e fare un po’ di esame di coscienza. È il gesto religioso e famigliare di ogni sera, al termine della giornata. Più impegnativo e severo alla fine di un anno. Ci impone di rievocare ciò che è essenziale nella vita e ci obbliga a revisionare la modalità con cui lo abbiamo amato o disatteso».
“Interroghiamoci, perciò, con alcune domande fondamentali; a ciascuno, poi, il compito di rispondervi. – L’anno passato è servito come tempo e occasione per la crescita della nostra fede?
– L’abbiamo percorso con il desiderio e la volontà di progredire nella conoscenza del mistero di Cristo e della Chiesa cui apparteniamo?
– Abbiamo fatto passi avanti nel costruire il Regno di Dio dentro di noi e attorno a noi?
– Abbiamo cercato e incontrato i fratelli nel comune cammino verso il Padre?
– Abbiamo vissuto il tempo nella luce dell’eternità, dando, così, significato a tutto?
L’anno scorso parecchi nostri fratelli e sorelle, padri e madri ci hanno preceduto nella Casa del Padre, privandoci della loro amabile presenza, ma non per sempre e non senza averci lasciato una eredità di bontà e di fede. A noi il Signore concede la grazia di un nuovo anno, spazio di tempo da usare come dono prezioso nella ricerca costante di ciò che veramente vale per la vita e che non andrà perduto con la morte. Ciò che vale è cercare Dio, cercare ogni volto il suo volto di Padre, nello spirito di figli che tutti abbiamo ricevuto nel Santo Battesimo.Ciò che vale è cercare i nostri fratelli per costruire insieme luoghi di vera comunione, rapporti di amicizia sincera, fondata non sulla base fragile e precaria della simpatia o del comodo, ma sul fondamento sicuro della Fede e sulla forza dell’Amore cristiano che la rendono solida, duratura ed edificante.È questo il nostro vero bene e questo deve essere il cuore, il desiderio con cui affrontare il nuovo anno.”
Lo scritto contenuto in questa pagina è frutto della sintesi dei testi inediti di ANGELO SALA, redatti nel 2012, a cura di Alicia Fumagalli, allieva della cl 2 Op.Amministrativo CFP Lecco Mazzucconi.